Camillo Cavour: “Le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano”

Dai primi passi si comprenderanno meglio i punti stimati e la rotta del nuovo governo.

“Conte II”  ha affrontato una situazione di emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto dall’Unità d’Italia”.

E’  finito alle corde ed è stato costretto a rassegnare le dimissioni proprio perché non aveva fatto il dovuto che è sotto gli occhi di tutti.

Per un anno, dal 31 gennaio 2020,  non ha mostrato di aver la minima  percezione della pandemia incombente e delle sue possibili conseguenze.

Ha fallito i tre principali obiettivi che si era posto.   Le conseguenze sono state devastanti malgrado gli auto-elogi.

Il programma di vaccinazione per arginare la diffusione del contagio si è disperso ed ha accumulato i ritardi che sono sotto gli occhi di tutti.

Il  ristagno dei benefici del Recovery Plan.  va addebitato al signor Giuseppe Conte, che tentò di gestirlo direttamente da Palazzo Chigi nell’inerzia  del Partito Democratico  e di Liberi e Uguali, in combutta con i Cinque Stelle: tutti  poi “indignati” nei confronti di Matteo Renzi, che denunciò il vulnus democratico che quel metodo  stava infliggendo all’Italia. Per il bene generale, deliberò l’uscita dalla maggioranza, rivendicando  quanto sopravvive di un Paese sovrano.

Il governo ora in carica (in attesa di ormai tardiva nomina di viceministri e sottosegretari con relative deleghe, scompaginata per il caos regnante tra i Cinque Stelle) è appesantito dalla conferma di ministri la cui opera suscitò perplessità.

Inoltre lo smottamento dei Pentastellati (una ventina al Senato, il doppio alla Camera, tra voti in Aula e assenti non giustificati agli occhi dei “guardiani del grillo”) ha creato un’opposizione quantitativamente e qualitativamente non prevista alla vigilia e destinata a pesare sulla durata del governo e sulla legislatura, incluso il passaggio, sempre più impervio e stretto, dell’elezione del futuro Capo dello Stato.

Sconcertante, a nostro avviso, e non solo, risulterebbe l’ipotesi di una rielezione di Mattarella “a tempo” per consentire a Draghi di consolidare l’opera dell’esecutivo e di transitare da Palazzo Chigi al Quirinale proprio quando l’azione del governo attuale potrebbe cominciare a dare frutti.

Riesce quindi impossibile determinare a priori la durata di una rielezione “a tempo” e “sub condicione” del Presidente della Repubblica ora in carica, un ulteriore strappo istituzionale che prospetta un altro e più rilevante interrogativo:

se l’Italia oggi abbia più bisogno di un arbitro al di sopra della mischia, qual è e deve essere il Capo dello Stato, o di un presidente del Consiglio competente, concludente e quindi duraturo.

Il problema di Draghi è quello di tutti i governi precedenti:

disporre di una maggioranza davvero leale e coesa.

Il clima, comunque, non è affatto dei migliori e  proprio perché bisogna rassegnarsi all’evidenza, in attesa di vedere come i fatti risponderanno ai buoni propositi, anche gli osservatori più comprensivi e indulgenti nei riguardi del governo nascente  si attendono segnali netti di discontinuità rispetto al passato prossimo e remoto, sia nella ripartizione dei compiti sia nella più esatta cornice storica entro la quale intende collocarsi.

Nel discorso programmatico Draghi ha insistito sull’urgenza di riqualificare l’istruzione tecnica superiore. La sua promozione e diffusione è tra i vanti della Nuova Italia che non è affatto nata nel 1945 ma nel 1861.

Gli Istituti per geometri e ragionieri formarono la spina dorsale del progresso economico-sociale del Paese, cresciuto a ritmi europei malgrado le scomuniche dei papi. Tanta parte della rete ferrostradale e dei piani regolatori di 150 anni orsono furono prodotti in piena autonomia dagli uffici tecnici delle Province (oggi sciaguratamente svilite da un Parlamento miope e auto-lesionistico) e dei Comuni, popolati di geometri altamente qualificati.

Da “uomo di banca”, Draghi sa bene che i “ragionieri” furono l’ossatura di casse di risparmio, banche popolari e casse rurali dalla seconda metà dell’Ottocento, nonché dell’amministrazione anche di medie e grandi aziende.

Nell’atrio dell’Istituto “Germano Sommeiller” di Torino il  preside Gaetano Fiorentino collocò le gigantografie dei diplomati illustri, tra i quali Giuseppe Pella e Vittorio Valletta. Erano “professionisti” che lavoravano almeno dieci ore al dì, sei giorni su sette, perché avevano un’“idea dell’Italia” e coltivavano quell’amore per la Patria che è “passato di moda”

Poiché il presidente del Consiglio ha citato Cavour, va ricordato quanto della Scuola disse, scrisse e ripeté Giovanni Giolitti, massimo statista dell’Italia liberale, all’indomani della Grande Guerra (1915-1918).

Il Paese doveva risollevarsi da una catastrofe non inferiore a quella del 1940-1945.

La “Vittoria”, merito delle Forze Armate, cioè della Nazione guidata da Vittorio Emanuele III Re-soldato, era costata circa 680.000 morti (in massima parte giovani), un milione e più di mutilati e feriti, il balzo del debito pubblico da 14 miliardi a oltre 90.

Il tutto fu aggravato dall’epidemia di febbre “spagnola” che mieté circa 500-600.000 vite in pochi mesi. Al confronto è pallida cosa la “crisi” odierna.

Lo Stato lavorò alla ricostruzione con ministri di eccellenza e misure immediate e lungimiranti, senza sprechi.

Fu il caso di Antonio Fradeletto, Cesare Nava, Giovanni Raineri e Alberto La Pegna alle Terre Liberate.

A conclusione del suo programma elettorale Giolitti disse:

-“Per il risorgimento economico dell’Italia, per metterla in condizione di sostenere la concorrenza con i popoli più progrediti, una riforma soprattutto si impone: la completa trasformazione dell’istruzione pubblica, che è fra tutte le nostre istituzioni quella che procede con maggior disordine e con minor efficacia”, mentre “un popolo tanto vale quanto sa”.

Che cosa è accaduto in Italia da decenni? È dilagata l’ossessione della “liceizzazione” di tutti gli istituti superiori, la moltiplicazione delle “etichette” su corsi variopinti, né classici, né scientifici, né tecnico-professionali.

Sperimentazioni e “fai-da-te” hanno creato una selva selvaggia dalla quale troppi giovani escono abbacinati.

Per l’Istruzione il nuovo governo non ha niente da “inventare”, parecchio da sfoltire e molto, semmai, da riscoprire, da quella costruita 150 anni orsono da Michele Coppino e Francesco De Sanctis.

Ha fatto bene il presidente Draghi a ribadire la centralità dell’“amore per l’Italia”. Non è affatto nuovo;  è quello dei patrioti che le sacrificarono i beni, la libertà personale, la vita. È quello di Carlo Alberto di Savoia che, abbandonato dagli altri stati italiani a cominciare da quello pontificio, si batté da solo per l’indipendenza, abdicò, morì esule a Oporto e insegnò a tutti, Cavour incluso, il prezzo richiesto dalla guerra per l’indipendenza e l’unità della Patria.

Ci auguriamo che si possa dire: -“Oggi l’Italia sta risanando”, come scrisse Reghini per il Natale di Roma del 1923. “Affiorano le antiche virtù”.

-Redazione-