10 febbraio, il “giorno del Ricordo” / Rinfreschiamo la memoria a certi politici “scarsi” in storia

Da un articolo di  stefy94 (Medie Superiori) scritto il 20.04.12:

“”Il 10 febbraio si celebra “il Giorno del ricordo”, istituito il 30 marzo del 2004 al fine di conservare e rinnovare la memoria dei cinquemila italiani massacrati in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia tra il 1943 e il 1945 dai partigiani comunisti di Tito e gettati, alcuni ancora vivi, nelle foibe solo perché erano italiani.

Il giorno del ricordo non è dedicato solo alle vittime delle foibe, ma anche alla grande tragedia dei 350 mila profughi giuliani costretti all’esodo dalle loro terre.

E’ stato scelto il 10 febbraio come data simbolica perché ricorda il trattato di pace di Parigi firmato il 10 febbraio del1947 che assegnò alla Jugoslavia, le province di Pola, Fiume, Zara e parte delle zone di Gorizia e di Trieste cioè tutti quei territori occupati alla fine della seconda guerra mondiale da Tito.

Dopo un silenzio durato oltre mezzo secolo e la quasi rimozione nella memoria collettiva delle stragi delle foibe, infatti tale argomento prima non veniva nemmeno menzionato nei libri di storia, lo Stato Italiano ha scelto di “ricordare” questo momento triste, perché solo così si acquisisce la consapevolezza che atrocità simili non si debbano più ripetere.

Ma perché si sono verificati queste stragi? Che cosa significa parlare di foibe?

Per rispondere a queste domande bisogna considerare tutto quel complesso di situazioni, di violenze e di esasperazioni dovute alla dominazione fascista  e che si erano venute a creare sul confine orientale italiano.

Occorre precisare che le stragi delle foibe sono avvenute in due fasi storiche: nel 1943 e nel 1945.
Quando l’Italia, vincitrice nella Prima guerra mondiale, inglobò nel proprio territorio tutta la zona Istriana e quindi sloveni e croati, procedette all’italianizzazione delle principali città con il trasferimento in esse di masse di contadini provenienti dal Friuli e dal Veneto tanto che  gli istriani non italiani  abbandonarono  le proprie terre.

La minoranza istriana sentendosi perseguitata, iniziò a sviluppare un sentimento anti italiano; nacquero organizzazioni clandestine antifasciste per difendere i diritti degli sloveni e dei croati come il Movimento di Liberazione e la Resistenza partigiana comunista.
All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre del 43 ed il successivo ritiro dei tedeschi, nell’area istriana si creò un vuoto di potere di cui approfittò il movimento di Resistenza partigiano comunista che scatenò un ‘ondata di terrore contro tutti quelli che in qualche modo rappresentavano lo Stato italiano, gli esponenti del fascismo della prima ora o erano contrari all’annessione di quel territorio alla Jugoslavia.

Iniziò cosi il criminale fenomeno delle foibe.

Circa un migliaio di persone ritenuti “i nemici del popolo”, ma colpevoli solo di essere italiani, dopo essere stati catturati, torturati e massacrati dai partigiani nazionalisti comunisti slavi appoggiati da Tito, vennero portati sulle foibe.

Qui, con i polsi e i piedi straziati dal filo di ferro e legate le une alle altre, le vittime vennero sospinte a gruppi verso l’orlo della voragine.

Una scarica di mitra alla prima faceva precipitare le altre giù nella fossa.

Infoibati feriti ma ancora vivi spesso aspettavano agonizzanti la loro fine accanto a cumuli di morti.
Ma la massima intensità del fenomeno delle foibe si ebbe nella primavera del 45 alla fine della seconda guerra mondiale.

Mentre tutta l’Italia veniva liberata dall’occupazione nazista, Trieste e l’Istria fino ad allora territori italiani, subivano la “liberazione” ad opera dell’esercito comunista jugoslavo agli ordini del maresciallo Tito.

Moltissimi italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia per paura di essere perseguitati in quanto italiani, dovettero abbandonare la loro terra, le case, il lavoro, gli amici incalzati dalle bande armate iugoslave agli ordini del maresciallo Tito.

Tutti coloro che avrebbero potuto ostacolare il progetto di annessione di quelle terre contese alla Jugoslavia, furono catturati dai titini, torturati e fatti sparire nelle foibe o deportati nei terribili campi di internamento della Slovenia e della Croazia: Borovnica, Skofja Loka, Osseh e ancora Stara Gradiska, Siska, e poi Goh Otok.
Il trattato di Parigi del 47 stipulato tra l’Italia e le potenze alleate, trasformò poi 350000 italiani in esuli perché assegnò alla Jugoslavia tutto quello che Tito aveva occupato: Zara, Istria e le terre che erano state italiane tra le due guerre.

L’Italia avendo perso la guerra, non poté trattare quell’accordo tra le grandi Potenze.

Tutta la popolazione del nord-est, abbandonata dallo Stato Italiano che ormai non li considerava più suoi cittadini in quanto si trovavano in territorio slavo, diventò così vittima del nazional-comunismo di Tito.

Non potendo conservare la cittadinanza italiana, terrorizzata dal fenomeno delle foibe ed essendo stata decretata da Tito la chiusura delle scuole italiane, non avendo più ne presente ne futuro lì, quella popolazione scelse di fuggire in Italia.

Ma il Governo italiano impoverito dalla guerra e impegnato a risolvere i problemi della ricostruzione, invece di accoglierli, li distribuì in vari campi profughi sparsi in tutta l’Italia in condizioni precarie e con strutture fatiscenti.
Oggi alcuni di quegli esuli ritornando nelle loro terre natali e trovando tutto cambiato, si sentono estranei, spaesati; ma anche in Italia, dove vivono ormai da anni, si sentono in fondo comunque un po’ stranieri.

L’istituzione del “ giorno del ricordo “ è dunque solo un piccolo tributo che tutti devono a quella parte di popolazione italiana non considerata più tale dallo loro stesso Stato; è importante che la loro memoria diventi patrimonio culturale di tutti, così nessuno più potrà negare “il massacro delle foibe”.

-Pubblicato da Redazione