Il giornalista, l’addetto stampa e il portavoce: differenti compiti e funzioni, diverse regole di riferimento

 Cerchiamo di esaudire la richiesta che alcuni cittadini ci stanno facendo formulandoci le domande:

-“Che differenza c’è tra addetto stampa e portavoce del sindaco?

-“Quali le loro mansioni?”

La legge 150/2000 è chiarissima sull’argomento che cerchiamo di spiegare:

“”Che la libertà della informazione sia essenziale allo stato democratico è incontestato da sempre: le proclamazioni sulla libertà di espressione e di stampa nascono, come è noto, insieme al moderno costituzionalismo.

Più recente e meno scontata è, invece, l’idea che l’informazione sia anche un aspetto essenziale del rapporto tra lo stato, le sue articolazioni, le amministrazioni pubbliche in generale e i cittadini, e che quindi sia anche una funzione, un compito insopprimibile di ogni articolazione dei pubblici poteri.

Sono gli statuti regionali adottati a partire dagli anni settanta del secolo scorso a riconoscere per primi il ruolo centrale della relazione informativa (bidirezionale) tra pubblici uffici e cittadini come presupposto per la creazione di una amministrazione aperta, trasparente e democratica (art. 8 Statuto Piemonte; artt. 5 e 62 Statuto Basilicata; 56 Statuto Calabria; 48 Statuto Campania; 5 Statuto Emilia-Romagna; 4 Statuto Liguria; 5 e 54 Statuto Lombardia; 32 Statuto Marche; 42 Statuto Molise; 4 Statuto Toscana; 11 Statuto Umbria; 35 Statuto Veneto).

Ed è sulla scia delle proclamazioni dei primi statuti che la Corte costituzionale, nell’importante sentenza n. 348 del 1990, per la prima volta riconosce che ogni articolazione dei pubblici poteri, e, in particolare, ogni soggetto di autonomia non può non avere, tra i suoi compiti, anche quello di realizzare un corretto circuito informativo con la comunità di riferimento.

Le parole utilizzate dalla corte costituzionale sono attualissime ancora oggi e vale la pena di riportarle testualmente.

«L’informazione, nei suoi risvolti attivi e passivi (libertà di informare e diritto ad essere informati) esprime (…) una condizione preliminare (o, se vogliamo, un presupposto insopprimibile) per l’attuazione ad ogni livello, centrale o locale, della forma propria dello Stato democratico. Nell’ambito di tale forma, qualsivoglia soggetto od organo rappresentativo investito di competenze di natura politica non può, di conseguenza, pur nel rispetto dei limiti connessi alle proprie attribuzioni, risultare estraneo all’impiego dei mezzi di comunicazione di massa. Questo impiego, per quanto concerne le Regioni, quali soggetti costituzionali investiti di competenze sia politiche che amministrative, si riferisce, in particolare, a due aspetti: quello delle informazioni che la Regione è tenuta ad offrire ai cittadini in ordine alle proprie attività ed ai propri programmi e quello delle informazioni che la Regione può ricevere dalla società regionale e che concorrono a determinare la partecipazione di tale società alle scelte attraverso cui si esprime l’indirizzo politico e amministrativo regionale».

E’ in questo contesto culturale che nasce la legge n. 150 del 2000: che da un lato è, indubbiamente, figlia di questa idea, dell’idea cioè che l’attivazione di circuiti di informazione e di comunicazione tra amministrazioni e cittadini è un aspetto irrinunciabile della democratizzazione dell’informazione; dall’altro, però, sembra rinunciare a portare sino in fondo le premesse culturali da cui muove.

Infatti, la distinzione fondamentale che attraversa la legge n. 150 del 2000 non è quella tra “comunicazione politica” e “comunicazione istituzionale”, ma è quella tra “comunicazione” e “informazione: dove per “informazione” si intende (art. 1, comma 4, lett. a)) l’attività rivolta “ai mezzi di comunicazione di massa, attraverso stampa, audiovisivi e strumenti telematici”, mentre la comunicazione (quella “esterna”, cui si affianca quella “interna” tra vari uffici di ciascun ente), è intesa come l’attività “rivolta ai cittadini, alle collettività e ad altri enti attraverso ogni modalità tecnica ed organizzativa”.

La distinzione fondamentale, quindi, non concerne la natura  gli scopi dell’attività (informare sull’attività dell’amministrazione piuttosto che promuovere l’immagine del politico o del partito al governo), ma i soggetti cui l’attività si rivolge: si parla di informazione se ci si rivolge ai mezzi di comunicazione di massa, di comunicazione se ci si rivolge direttamente ai cittadini.

E’ però una distinzione di cui, francamente, si fatica a cogliere il senso, dal momento che non si comprende cosa differenzi l’attività di comunicazione che si svolge per il tramite dei mezzi di comunicazione di massa e quella con cui l’amministrazione si rivolge direttamente ai cittadini, per esempio divulgando direttamente notizie tramite il proprio sito internet o pubblicando una newsletter.

Fatto sta che tutta la struttura della legge n. 150 si fonda su questa distinzione, cui si ricollega anche la distinzione tra le diverse “strutture” deputate ad occuparsi della informazione e comunicazione pubblica.

Ed infatti, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 150:

-“le attività di informazione si realizzano attraverso il portavoce e l’ufficio stampa e quelle di comunicazione attraverso l’ufficio per le relazioni con il pubblico, nonché attraverso analoghe strutture quali gli sportelli per il cittadino, gli sportelli unici della pubblica amministrazione, gli sportelli polifunzionali e gli sportelli per le imprese”.

Tale distinzione poi si riflette sui differenti titoli richiesti per  lo svolgimento delle funzioni: per quanto riguarda le amministrazioni dello stato, tali titoli sono previsti dal d.P.R. n. 422 del 2001 “”regolamento recante norme per l’individuazione dei titoli professionali del personale da utilizzare presso le pubbliche amministrazioni per le attivita’ di informazione e di comunicazione e disciplina degli interventi formativi”.

Per quanto riguarda l’esercizio della attività di “comunicazione”, l’art. 2 del regolamento richiede, per i dirigenti degli uffici per le relazioni col pubblico e delle altre strutture contemplate dall’art. 6 della l. n. 150, il possesso “del diploma di laurea in scienze della comunicazione, del diploma di laurea in relazioni pubbliche e altre lauree con indirizzi assimilabili, ovvero, per i laureati in discipline diverse, del titolo di specializzazione o di perfezionamento post-laurea o di altri titoli post-universitari rilasciati in comunicazione o relazioni pubbliche e materie assimilate da università ed istituti universitari pubblici e privati, ovvero di master in comunicazione conseguito presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione e, se di durata almeno equivalente, presso il Formez, la Scuola superiore della pubblica amministrazione locale e altre scuole pubbliche nonché presso strutture private aventi i requisiti di cui all’allegato B al presente regolamento”; sono poi previsti particolari percorsi formativi per il personale già in servizio che non possieda tali titoli.

-Per quanto riguarda invece lo svolgimento dell’attività di “informazione” nell’ambito degli “uffici stampa”, l’art. 3 del regolamento, sviluppando l’indicazione già contenuta nell’art. 9, comma 2, della l. n. 150, stabilisce che l’esercizio di tale attività “è subordinato, oltre al possesso dei titoli culturali previsti dai vigenti ordinamenti e disposizioni contrattuali in materia di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, al possesso del requisito della iscrizione negli elenchi dei professionisti e dei pubblicisti dell’albo nazionale dei giornalisti”, limitatamente, però, al “personale che svolge funzioni di capo ufficio stampa”, nonché (comma 2) “per il personale che, se l’organizzazione degli uffici lo prevede, coadiuva il capo ufficio stampa nell’esercizio delle funzioni istituzionali, anche nell’intrattenere rapporti diretti con la stampa e, in generale, con i media”.

Nessun requisito particolare, per il “portavocema l’art.7 stabilisce che:

-per quel soggetto, che può essere “anche esterno all’amministrazione”, e che è chiamato (art. 7 l. n. 150) a “coadiuvare” l’organo “di vertice” dell’amministrazione pubblica “con compiti di diretta collaborazione ai fini dei rapporti di carattere politico-istituzionale con gli organi di informazione il portavoce, incaricato dal medesimo organo, “”non può””, per tutta la durata del relativo incarico, esercitare attività nei settori radiotelevisivo, del giornalismo, della stampa e delle relazioni pubbliche” (comma 1);

-al portavoce “è attribuita una indennità determinata dall’organo di vertice nei limiti delle risorse disponibili appositamente iscritte in bilancio da ciascuna amministrazione per le medesime finalità”.

-Redazione-