E se il premier dimissionario studiasse un suo partito ?

renzi-berlusconi-quirinale-ape10Al di là di quello che sta succedendo istituzionalmente in queste ore con preoccupanti ritardi decisionali e giravolte politiche ci soffermiamo su un fatto:

Renzi dopo aver interpretato a caldo il risultato del 40 di “Sì” (e del 60% di No) come una sconfitta ed anzi una disfatta totale -anche dopo l’invito alla moderazione dialettica autoaccusatoria tipica del complesso profilo caratteriale del leader toscano da parte del Presidente Mattarella, ha rivisto al rialzo -per così dire- il voto referendario o quanto meno la sua interpretazione.Luca Lotti aveva subito espresso una interpretazione “conservativa” del voto giù subito dopo le urne: il 40 % sarebbe stato il voto dell’intero popolo del Pd lo stesso che aveva fatto volare il partito alle Europee consacrando il fiorentino leader con un percorso del tutto inusuale.

In realtà l’interpretazione di Lotti è troppo ottimistica; in quel 40 % di consensi al progetto di riforma costituzionale convergono e si amalgamano sensibilità, visioni, e speranze variegate e non tutte riconducibili al Pd, come -del resto- sappiamo che il progetto renziano è andato a pescare consensi anche da altre parti compresa la destra che di fatto era stata sempre promotrice di un progetto di premierato forte con un indebolimento dell’asse parlamentare.

Però il 40 % c’è ma proiettato sugli assi cartesiani partitici vuol dire -queste le stime per ora abbastanza qualitative ma indicative- qualcosa intorno al 33% (Istituto Piepoli).

Questo riporta il voto partitico in una dimensione propria ed usale del Pd che più o meno si è mosso sempre intorno a questo valore.

Manca quindi al Pd proprio quel 10 % in più delle Europee che è venuto però da altre parti.

Quindi il ridimensionamento del Pd ai valori “usuali” per la sua gittata politica è abbastanza chiaro; questo non permette a Renzi di lanciare alcuna Opa particolare sul Pd ma gli apre una prospettiva interessante e cioè farsi un partito tutto suo con quegli italiani che hanno appoggiato il suo progetto di riforma.

L’ipotesi in un passato anche recente ha preso il nome di Partito della Nazione e ha solleticato non poco Silvio Berlusconi che ha sempre ammirato -e non lo ha mai nascosto- la figura del premier dimissionario.

Naturalmente questa scelta avrebbe forti ripercussioni a destra e renderebbe Salvini leader ma di un esercito ridotto di un terzo e cioè senza Forza Italia e con la Meloni.

I numeri sembrano far indicare che la strada di una scissione nel Pd sia una ipotesi comunque da prendere in considerazione ma per l’attuale minoranza guidata da D’Alema significherebbe una quasi certa marginalità non compensabile con un riavvicinamento o addirittura una fusione con la sinistra alla Vendola e Fassina per intenderci.

La partita istituzionale è ora legata a quella interna del Pd perché Renzi si gioca il suo futuro e non solo politico e sceglierà certamente -come suo costume- l’opzione a lui più favorevole.

-Giuseppe Vatinno-Affaritaliani.it-

Pubblicato da Redazione