Quando l’informazione diventa un dovere

Fiutare la notizia, sviscerarla e infine raccontarla, non è un esercizio letterario, un hobby da coltivare nei ritagli di tempo.

È più che altro un dovere, un obbligo nei confronti della propria coscienza, oltre che un servizio alla collettività.

Fa sempre un certo effetto quando si legge o si sente di giornalisti vittime di atti intimidatori, di piccole o grandi angherie per ridurli al silenzio.

La lista di coloro che hanno subito ripercussioni perché troppo scomodi, troppo sul pezzo, troppo tenaci è interminabile.

Da uno studio condotto sul nesso giornalismo e intimidazioni, ad oggi risulta che negli ultimi  diciotto mesi,  più di 530 giornalisti hanno subito minacce, hanno pagato il prezzo della loro coerenza e sono stati  vittime di soprusi o atti vandalici ai danni dei malcapitati cronisti.

Trovare l’automobile con le ruote bucata, non è piacevole.

Eppure – senza scomodare i martiri della carta stampata, che hanno donato la vita in nome della coerenza – gli episodi spesso sottaciuti sono all’ordine del giorno.

Lo spirito aggregativo, alla base di innumerevoli testate giornalistiche nate dal nulla, fa comunque  ben sperare sul futuro dell’informazione.

Non sono i soldi, ne la vanagloria bensì una merce rara, quasi in estinzione per i tempi che corrono: la dignità.

I sacrifici per il lavoro svolto è fonte continua d’ispirazione, la strada maestra da seguire per restare fedeli a quel fuoco che arde dentro chi vive la notizia.

Il potere della parola è pesante come un macigno, può ferire meglio di un’arma ma, allo stesso modo, può essere il tramite per la coscienza collettiva, il metro con cui misurare il grado di civiltà di un popolo.

 Abbiamo un concetto etico del giornalismo:  riteniamo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo..

I mali della società contemporanea si moltiplicano a dismisura, amplificati dalla corruzione e sete di potere che logora chi il potere lo possiede già.

Che la parola sia il viatico della martoriata Italia, la medicina che possa sanare una società incancrenita!

Se il prezzo da pagare per continuare a scrivere in libertà è una gavetta infinita, denigrazioni e ostracismi perché troppo scomodi, ben venga l’articolo 19 della cara Costituzione Italiana, che qualcuno spesso ripone in soffitta per il proprio tornaconto.

Si legga che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

E inoltre, essendo la nostra Nazione tra gli Stati membri dell’Unione Europea, è giusto concludere con l’Articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, la quale recita che:

 “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.

Il bavaglio premeditato per far tacere una voce fuori dal coro è un atto da branco, necessario a cercare consensi perché alla base c’è l’insicurezza della propria esistenza.

L’urlo di protesta che stona con la consonanza della massa, questo sì che è un atto di distinzione, che ci qualifica e ci rende uomini.

-Pubblicato da Redazione-