Quanti posti letto sono stati tagliati negli ospedali italiani dal 1980 a oggi?

«La sanità pubblica cade a pezzi e nel silenzio dei cittadini si avvia verso la privatizzazione»: il grido d’allarme  lanciato dal Centro Studi sulla sanità “Gimbe”, quando presentò nella Sala Capitolare del Senato, a Roma il suo rapporto 2019.

Ci troviamo davanti al lento e progressivo sgretolamento della più grande opera pubblica mai costruita in Italia – dice Nino Cartabellotta, presidente Gimbe -. La perdita di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, oltre a compromettere la salute delle persone porterà ad un disastro sociale ed economico senza precedenti».

La colpa? Un intreccio di fattori:

la mancanza di un disegno politico di lungo termine,

l’intromissione partitica nella gestione delle strutture sanitarie,

le inefficienze non affrontate,

la mancata programmazione del fabbisogno del personale.

«Il governo», annota il rapporto, «ha puntato sui sussidi individuali (bonus 80 euro, reddito di cittadinanza, quota 100), indebolendo di fatto le tutele pubbliche in sanità ed aumentando la spesa delle famiglie».

Secondo Gimbe la spesa per la salute in Italia ammonta a 204.034 milioni, di cui 154.920 di spesa prettamente sanitaria, 41.888 milioni di spesa sociale di interesse sanitario, 7.225 milioni per deduzioni e detrazioni di imposta.

-«Al di là delle cifre – conclude Cartabellotta – la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite in sanità: secondo le nostre analisi il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella delle famiglie e il 50% di quella intermediata non migliorano salute e qualità di vita delle persone. Ecco perché bisogna avviare riforme sanitarie e fiscali, oltre che azioni di governance a tutti i livelli, per ridurre al minimo i fenomeni di sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate e di sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate».

Insomma, non si tratta di spendere di più ma meglio, premiando le competenze (anche organizzative) e non la fedeltà partitica.

Nel 1980 i posti per casi acuti erano 922 ogni 100.000 abitanti, oggi sono 275.

Quarant’anni di tagli al sistema sanitario, ci hanno lasciati completamente impreparati all’arrivo del nuovo coronavirus.

Questo prima che l’epidemia di nuovo coronavirus si abbattesse sul sistema sanitario italiano.

È presto per dire cosa succederà dopo che il peggio sarà passato, ed è anche difficile provare a concentrarsi con chiarezza su quanto sta succedendo oggi, tra il dolore per le vittime e l’impatto devastante della quarantena.

Si può però capire come si è arrivati a una situazione in cui nella regione più ricca d’Italia e tra le più ricche d’Europa, la Lombardia si muore perchè non ci sono abbastanza respiratori per tuti  e tra le soluzioni inizialmente proposte e messe in pratica c’è stato l’acquisto di  “fantascientifici caschi respiratori”

Il sistema sanitario negli ultimi vent’anni ha privilegiato l’impresa privata rispetto al servizio pubblico.

In questi giorni è emersa con particolare forza soprattutto la mancanza effettiva di posti letto in cui ricoverare i malati che presentano i sintomi più gravi della Covid-19, e che necessitano dunque delle cure nel reparto di terapia intensiva.

Antonio Pesenti,  coordinatore dell’unità di crisi della regione lombarda, ha dichiarato che:

-“Si fanno delle scelte, ma ciò fa parte della disciplina del trattamento nei casi di catastrofe. Se al pronto soccorso in una notte arrivano 50 persone da intubare e servono 50 ventilatori, e in quel momento non ci sono, il medico fa delle scelte.”

Secondo i dati dell’OMS, il numero di posti letto per malati acuti — quindi per cose come: chirurgie, ortopedie o medicina d’urgenza — in Italia si è quasi dimezzato dal 1997 ad oggi, passando da 474 a 275 ogni 100.000 abitanti.

O per meglio dire: non “si è dimezzato,” ma è stato ridotto per una precisa serie di scelte politiche, che hanno di fatto lasciato esposto il paese a episodi drammatici come quello che stiamo vivendo in queste ore.

Andando ancora più indietro, i dati sono ancora più stupefacenti:

nel 1980 i posti per malati acuti erano 922 ogni 100.000 abitanti.

I posti letto in Terapia Intensiva in Italia sono invece solo all’incirca 5.100 in tutta la penisola, quindi 8,5 ogni 100 mila abitanti: una percentuale incredibilmente bassa se si pensa alle cifre, ad esempio, della Germania, dove ce ne sono circa 35 ogni 100 mila abitanti.

È superfluo sottolineare che se i posti in terapia intensiva fossero un numero superiore, più adatto alla popolazione e all’età media avanzata del nostro paese, quanto stiamo vivendo in queste ore avrebbe probabilmente sfumature diverse.

In un articolo uscito su “Valori”, Rosy Battaglia riporta altri numeri di questo vero e proprio accanimento:

-dal 2009 al 2017, infatti, il sistema sanitario nazionale ha perso 46 mila dipendenti, tra cui 8 mila medici e 13 mila infermieri.

E, a livello nazionale, negli ultimi dieci anni sono andati “persi” 70 mila posti letto.

Gli stratagemmi messi in atto per erodere il patrimonio sanitario pubblico sono vari.

In Lombardia, il preferito è stato quello del cosiddetto “accorpamento:” fondere più ospedali in uno, come nel caso dei santi Paolo e Carlo milanesi, è molto efficace nel mescolare le carte e far passare un taglio radicale per un aumento dell’efficienza. Come fatto notare dal Comitato, la creazione di un nuovo ospedale in questo caso significherebbe un taglio di 200 letti.

Accorpamento vuol dire anche chiudere reparti, sempre con la scusa dell’efficentazione, per dirottare i malati da una struttura all’altra — o magari, chissà, a una clinica privata convenzionata più vicina a casa loro.

È il caso dell’ospedale di Busto Arsizio  , in cui a settembre 2019 il reparto di oncologia si è visto azzerare i propri posti letto.

Secondo il Comitato per il diritto alla salute del varesotto, i pazienti saranno “costretti a rivolgersi altrove, soprattutto in cliniche private. È oramai evidente che con l’ospedale unico, si vuole unicamente ridimensionare la sanità pubblica, a favore di quella privata.

Pagheremo di più, per avere meno cure e servizi.” L’ospedale unico di cui si parla sarebbe quello che dovrebbe accorpare i due attualmente esistenti di Busto e Gallarate — anche qui: fondere per tagliare.

Quando si parla di Regione Lombardia ovviamente bisogna tener ben presente i nomi e i posizionamenti politici di chi l’ha governata negli ultimi venticinque anni.

E, come tutti sanno, è stata perfettamente incarnata dalla figura di un governatore dal 1995 al 2013 che oggi sta scontando una pena di cinque anni agli arresi domiciliari per corruzione  proprio nell’ambito della sanità lombarda, e cyhe, secondo il Pubblico ministero, solo nel caso Fondazione Maugeri , quel governatore avrebbe indebitamente sottratto alle casse pubbliche circa 60 milioni di euro.

Danni come quelli derivanti dall’accorpamento non sono punibili a livello penale e fanno meno scandalo: ma causano ugualmente un grande danno alla comunità, difficilmente quantificabile. Favorire la gestione privata della sanità vuol dire non mettere al primo posto la fornitura di un servizio e un diritto, ma il guadagno di un privato .

Alla luce di tutto questo attivismo regionale nell’ambito della sanità, l’impressione è che ci sia comodamente seduti sui propri allori e sui propri soldi, investendo dove conveniva anziché dove serviva, non immaginandosi mai nemmeno lontanamente che un giorno gli ospedali, anziché per far soldi, sarebbero tornati ad avere soprattutto lo scopo per cui sono stati creati:

“salvare la vita alla gente”.

-argomenti tratti da un articolo di  Stefano Colombo su ‘Italialotta’ del 10 marzo 2020

Pubblicato da Redazione