Centrale a biomassa / Ecco perchè: “NO”

centrale-a-BiomasseDopo che il “Comitato NO centrale a Biomassa Caprese Michelangelo” ha comunicato la vittoria ottenuta con il “ricorso al TAR” che è stato accolto e quindi ha reso giustizia alla ‘mobilitazione dei cittadini’ contro la ipotizzata  “Centrale a biomassa”, sono arrivati in Redazione commenti di” lettori favorevoli e non” per tale risultato.
Il commento che riproduciamo, pervenuto in Redazione l’11 aprile 2015 alle 00.11, di un cittadino-lettore che pone delle domande ai non favorevoli all’esito del TAR, ci ha indotto a cercare la risoluzione alle stesse.
Ecco le domande poste nel primo commento:
-Sapete cos’è una centrale a biomasse?
-A cosa serve?
-Quanto inquina e se inquina?
-Cosa produce?
-E se è giusto collocarla in un comune come Caprese?
-Sapete i motivi per i quali i cittadini si sono posti contro?

-Conoscete l’impianto di anidride carbonica?
-La sua collocazione?
-Lo spreco di soldi e i suoi effetti?
Prima di dare giudizi sommari bisognerebbe sapere””.

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Di seguito la spiegazione con il contributo a cura del “Comitato Lasciateci Respirare di Monselice” inviata in Redazione con altro commento ( 11/04/2015 alle 10:22 ),  che ci siamo preoccupati di controllare contattando telefonicamente quel Comitato, spiegazione  che riproduciamo come da articolo apparso su   “ECOMAGAZINE osservatorio sui conflitti ambientali”:
“”Altro che “energia rinnovabile”! Le centrali a biomasse sono un affare solo per chi le fa!
L’energia prodotta da impianti a biomassa o biogas possiamo definirla energia da fonte rinnovabile?Stando a quello che dice il prof. Gianni Tamino sicuramente no “si può parlare di fonti rinnovabili solo se nel territorio di origine e nel tempo di utilizzo quanto consumato si ripristina” Ciò vale per l’energia solare, eolica e idrica, ma non si applica totalmente alle biomasse intese come materiale prodotto da piante e destinato alla combustione o alla digestione anaerobica.
Come funzionano le centrali a biomasse: esistono centrali di tre tipi:
-a) a biomasse solide (legno, cippato, paglia, ecc.), sono impianti tradizionali con forno di combustione della biomassa solida, caldaia che alimenta una turbina a vapore accoppiata ad un generatore.
-b) a biomasse liquide (oli vari: palma, girasole, soia,ecc.); sono impianti, alimentati da biomasse liquide (oli vegetali, biodiesel), costituiti da motori accoppiati a generatori (gruppi elettrogeni).
-c) a biogas ottenuto da digestione anaerobica (utilizzando vari substrati: letame, residui organici, mais o altro). Da tener presente che una centrale a biogas con colture dedicate può ricorrere legalmente anche alla Forsu (frazione organica rifiuti solidi urbani) in base al DL n°387 del 29/12/2003 e alla sentenza del Consiglio di Stato Sez. V n°5333 del 29/07/2004.
Le centrali a biomasse funzionano per combustione: a temperature che di solito superano gli 800°C, trasformano la materia delle biomasse (solide o liquide) in energia sotto forma di calore. Il calore alimenta una caldaia che può fornire riscaldamento (c.d. Co-generazione e teleriscaldamento, cioè lo sfruttamento dell’energia termica per riscaldare l’abitato circostante aumentando l’efficienza energetica dell’impianto che ne rappresenta circa il 70-75% della produzione) o produrre il vapore necessario per azionare una turbina e produrre energia elettrica (che rappresenta il 25-30% del potenziale energetico dell’impianto.
Le centrali a biogas funzionano attraverso un processo di fermentazione-digestione-metanizzazione: trasformano la materia attraverso la “digestione anaerobica” che, in assenza d’aria e per mezzo di batteri che si nutrono della sostanza organica, producono gas/metano e digestato.
Il digestato è un rifiuto (codice CER: 190600-03-04-05-06).
Il gas captato dalle vasche di fermentazione viene immesso in centrali a gas con motori con potenza solitamente inferiore a 1MW elettrico, dove per mezzo della combustione produce energia elettrica e calore.
A chi servono queste centrali?
Servono agli imprenditori che realizzano l’opera, per beneficiare di generosi incentivi statali previsti per le “fonti rinnovabili”.
Senza incentivi statali verrebbe meno la ragione economica principale di questa attività. In ogni caso è possibile ritenere che la generalizzata propensione alle centrali a biomassa e biogas rientra anche in una più generale prospettiva di riutilizzo di queste centrali per il trattamento di rifiuti. Infatti, la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (Forsu) è equiparata alle biomasse con decreto ministeriale.
Facile prevedere che una volta costruite queste centrali, invece di essere alimentate con biomasse agricole, di cui l’Italia non dispone e che hanno un costo sempre maggiore, potranno essere alimentate con Forsu, il cui costo di smaltimento è già una prima fonte di redditività.
Il conferimento della Forsu vale da 80 a 110 €/t, il verde circa 60 €/t e i fanghi da depurazione circa 90 €/t.
Se pensiamo che una centrale a biomasse solide della potenza di 1 MW accesa tutto l’anno, tutti i giorni 24 h al giorno consuma 14.400 t/anno di materia prima due sono le considerazioni:
la prima è che l’enorme inquinamento derivante dalla combustione di una così elevata quantità di materiale non è limitato soltanto all’entità dei fumi, delle ceneri e delle microparticelle emesse nell’aria, ma deve tener conto anche del traffico di camion necessario per il continuo rifornimento della biomassa da bruciare;
la seconda è l’impossibilità di rispettare una clausola che troviamo sempre nei progetti di questi impianti “materiale reperito in zona”.
Non è difficile capire come sia impossibile raggiungere tali quantità solo con le potature degli alberi o con il legname residuo del taglio consueto dei boschi in zona. Quindi il materiale da bruciare viene da forniture diverse, incluse importazioni di cippato a prezzo più economico, spesso proveniente dall’estero, anche da zone altamente inquinate o da paesi in via di sviluppo che subiscono il “land grabbing” (accaparramento di terreni da parte di società straniere).
Le centrali a biomasse possono bruciare qualsiasi tipo di combustibile secco e purtroppo in molti casi è stato accertato che in queste centrali venivano inceneriti illegalmente anche altri prodotti (immondizia, plastica, gomma).
Inoltre il Decreto Ministeriale (DM 6 luglio 2012 “nuovi incentivi alle rinnovabili”) ha introdotto la possibilità di alimentare le centrali a biomassa anche con Combustibile Solido Secondario (CSS) cioè il rifiuto secco trattato.
Quindi è purtroppo possibile “per decreto” bruciare lecitamente i rifiuti in questo tipo di impianti.
Da quanto esposto sorgono spontanee due considerazioni:
la prima che dietro l’etichetta BIO chi promuove questi impianti ha spesso le carte in regola per partecipare al ricchissimo business del trattamento dei rifiuti;
la seconda che i cittadini pagano quindi più volte: con i soldi per gli incentivi, con le tasse per lo smaltimento dei rifiuti e con la salute il proliferare di questi impianti.

Quali rischi per l’ambiente e la salute sono connessi al biogas?
Per alimentare una centrale da 1 MW a colture dedicate (mais) serve coltivare circa 300 ettari di terreno. Poichè i vegetali necessari alle fermentazione non sono destinati all’alimentazione umana e poiché quello che conta è la resa, “i terreni coltivati vengono irrorati con dosi massicce di fertilizzanti e di pesticidi”, che finiscono per inquinare il terreno stesso e le falde acquifere sottostanti.
La stessa combustione del biogas è fonte di emissioni tossiche. Il biogas è più inquinante del metano perchè contiene metano soltanto al 55/60%.
Gli impianti di bio-digestione non riescono a neutralizzare completamente i batteri presenti, in particolare i clostridi che sono batteri termoresistenti (a questa famiglia appartengono i batteri che provocano botulismo e tetano).
In Germania alcuni ricercatori hanno suggerito che l’epidemia di Escherichia Coli che ha colpito la Germania nell’estate del 2011, causando 18 morti e le migliaia di casi di botulismo osservato negli animali tra l’estate del 2011 e l’inizio del 2012, sarebbero state causate dalla presenza di centrali a biogas.
Le quantità annue di inquinanti immesse in atmosfera sono rilevanti:
tonnellate di sostanze pericolose come ossidi d’azoto e zolfo inquinano ambiente e popolazione, e producono piogge acide. Sulla base del biogas bruciato (circa 8,5 milioni di mc) e del contenuto medio di metano (tra 50 e 65%), si può affermare con una certa approssimazione, che un motore di quasi 1MW brucerà un quantitativo di metano equivalente a quello di circa 1.500 case di oltre 100 mq di superficie (consumo annuo di circa 1.600mc) ciascuna, ma con le emissioni sommate e concentrate in un solo punto.
Quali rischi per l’ambiente e la salute sono connessi alle centrali a biomasse?
Con le centrali a combustione diretta di biomasse l’impatto ambientale è molto gravoso, soprattutto in relazione al fatto che vengono considerate biomasse anche materiali altamente inqinanti (elenco D.M. 6 luglio 2012).
Tutte le biomasse bruciate liberano in atmosfera quantità enormi di sostanze altamente inquinanti che per ricaduta vanno ad inquinare l’ambiente e in particolare i terreni agricoli, oltre a formare ulteriori aggregazioni chimiche inquinanti che vanno a depositarsi anche nei polmoni di animali e umani. Infatti a temperature elevate, fino ad 800° C, gli impianti liberano fumi con molte sostanze inorganiche che volatizzano per poi ricombinarsi sotto forma di polveri sottili ovvero di particolato. Questo termine, indicato con la sigla PM, designa piccolissime particelle solide o liquide del diametro del micron che rimangono sospese nell’aria per periodi variabili e dipendenti dalla loro massa e diametro prima di ricadere al suolo. Le particelle hanno un diametro che può variare da un paio di nanometri fino a 100 micron e in base a questa caratteristica possono avere una diversa penetrazione nell’apparato respiratorio di animali e persone fino a penetrare direttamente nel sangue quando il particolato diventa ultrafine.
Il termine “bio” viene utilizzato per attribuire una valenza positiva e “naturale” a questo tipo di impianti in modo da poterli ascrivere al mondo della cosiddetta “green economy”.
La mistificazione del linguaggio, in questo caso, è strumentale ad una politica di proliferazione di queste tecnologie sotto l’ombrello dell’ecologia e del rispetto della natura.
Il termine “bio” significa “vita”, crediamo che questi impianti di vita non ne dispensino affatto“”.

-Pubblicato da Redazione-