Ma la politica come vocazione esiste ancora?

Quando  inizia la girandola delle candidature a Sindaco, i nomi che stanno circolando hanno in comune una caratteristica:

nessuno è un cosiddetto “politico di professione”.

Viene dunque da chiedersi:

-“la politica vive di un quid specifico oppure può essere sempre e comunque fungibile da parte di figure provenienti da altre attività umane?

E ancora:

-il totus politicus è vittima di una crisi definitiva e irreversibile, oppure sta attraversando una fase transitoria, per cui prima o poi tornerà nuovamente alla ribalta con lo specifico delle sue competenze?

-Che fine ha fatto la politica come vocazione ?

-Esiste ancora? O forse non è mai esistita?

In una società complessa, come la nostra, la politica costituisce senza dubbio un’attività specifica, con i suoi codici e le sue regole.

Se all’epoca di Aristotele, l’uomo come era da intendersi più come essere“sociale”, capace di relazioni nella comunità, invece che “politico”, dalla nascita della politica moderna, la virtù politica viene intesa come una qualità specifica.

Ed è interessante notare fra le doti dell’uomo politico, che è colui che vive per la politica e non di politica, vi fosse quell’equilibrata combinazione etica fra convinzione e responsabilità in grado di sottrarne l’operato all’egemonia della tecnocrazia, così come alle tentazioni demagogiche.

Ma tant’è, queste sono le doti – difficilmente reperibili sul mercato – del vero leader politico, che avrebbero dovuto accompagnarsi a un genuino carisma naturale.

All’epoca dei partiti dei notabili, si trattava di persone che svolgevano attività politica in grande autonomia, sfruttando le privilegiate condizioni economiche del proprio rango.

Con l’avvento dei partiti di massa, invece, il personale politico è venuto formandosi all’interno di organizzazioni che, grazie al sostegno economico dei propri iscritti o al finanziamento pubblico, potevano svolgere attività politica senza dover disporre di risorse economiche personali, anche se in condizioni di maggiore dipendenza dalle stesse organizzazioni che li reclutavano come funzionari o li candidavano alle cariche pubbliche.

In questo modo i partiti sono diventati responsabili, in maniera autonoma e indipendente, talvolta pressoché esclusiva, della selezione di gran parte del personale politico.

Oggi, che nel contesto delle democrazie occidentali i grandi partiti di massa non ci sono più oppure sono in difficoltà, quella funzione storica di reclutamento e formazione del ceto politico viene rimessa radicalmente in discussione.

Partiti poco strutturati, come quelli italiani che in Europa sono certamente fra i più in difficoltà, in forte difficoltà nel selezionare e formare un personale politico e amministrativo dotato di reputazione e autorevolezza chiaramente riconoscibili da parte dell’elettorato, si rivolgono alla società civile per individuare le persone da candidare ad importanti cariche pubbliche.

E nel contempo, la società civile diviene sempre più esigente rispetto ai profili dei potenziali candidati alle cariche pubbliche più importanti, come appunto i Sindaci delle città, pretendendo più che in passato che si tratti di figure in vista e interpretando la loro eventuale estraneità alla politica di professione (intesa come il vivere di politica, non per la politica) come un punto di merito. Ciò non significa che la politica non esista più, ma soltanto che sta assumendo una nuova forma. Forse la politica come vocazione, esiste ancora?

Di certo, alberga ben poco nei partiti. E nel nostro paese, più che altrove, questo è particolarmente vero.

Chi affronta problemi collettivi nella sfera pubblica svolge un’attività politica.

La parola “politica”, nata tremila anni fa per definire ciò che riguarda la città nel suo insieme, in contrapposizione a ciò che riguarda i singoli.

L’aggettivo politico si riferisce quindi a questioni che riguardano tutte le persone che vivono in una data comunità.

Chi agisce nella sfera privata cercherà soluzioni che soddisfino i suoi interessi, chi agisce nella sfera politica, invece, ossia fa politica, cercherà soluzioni che soddisfino gli interessi di tutti indirizzati a raggiungere il bene comune.
E’ difficile che esista un’idea del bene comune condivisa da tutti.

Le persone hanno idee diverse su ciò che è bene per la collettività.

Ed è per questo che l’attività politica si manifesta attraverso profondi contrasti.

E i contrasti sono distruttivi quando sono gestiti con la violenza e mirano all’eliminazione dell’avversario.

Ma possono anche essere vitali per una società perché attivano le energie umane e li obbligano a confrontarsi con gli altri.

Una società senza conflitti, cioè senza politica, sarebbe una società spenta e immobile.

Non si tratta di abolire i confitti, ma di evitare che diventino distruttivi.
Per i politici di professione la politica è una carriera, è un mestiere che può dare fama e potere.

Ma è anche un mestiere instabile e rischioso.
Per nostra fortuna, l’attività politica non è soltanto un mestiere.

Può essere intrapresa da qualsiasi cittadino per passione o per vocazione quando decida di affrontare in prima persona un problema collettivo che lo riguarda.

Si può impegnare per un periodo di tempo limitato.

Ci si può impegnare per svolgere attività politica mentre si svolge un altro lavoro, utilizzando il proprio tempo libero.
Ci sono periodi storici in cui si verifica una generale partecipazione alla vita politica: milioni di persone escono dalla loro sfera privata e partecipano alla vita pubblica quando capiscono che sono in gioco i destini collettivi e che la loro iniziativa può pesare nel cambiamento.
Ci sono periodi in cui i cittadini si disinteressano della politica e lasciano ai politici di professione la risoluzione dei loro problemi.

Spesso si lamentano.

Criticano i politici ma non fanno nulla per cambiare le cose e, spesso, smettono addirittura di andare a votare.

Questa diffidenza per la politica si manifesta quando essa viene svolta esclusivamente dai politici di professione, ed  a volte non hanno tutti i torti.

Ma non dovrebbero mai dimenticare che se le cose vanno così la responsabilità è un po’ di tutti.

E’ vero che la politica si presenta spesso – e non solo nel nostro paese – in forma oscura, sgradevole, litigiosa.

Ma non possiamo farne a meno della politica.

Possiamo e dobbiamo cercare di correggerla e migliorarla, ma dobbiamo accettare di vivere in un mondo di conflitti: non abbiamo alternative.
Che cosa bisogna conoscere per capire la politica?

Prima di tutto bisognerebbe conoscere la storia della propria città, anche quella antica.

Molti problemi si ripropongono continuamente.

Poi serve conoscere la storia più recente.

Qualsiasi cosa facciamo oggi, siamo costretti a confrontarci con le nostre radici.

Un’idea:

-interrogate i vostri padri, le vostre madri, le vostre nonne e i vostri nonni.

Fatevi raccontare come vivevano e che cosa pensavano. Capirete meglio tante cose.

Capirete perché è importante, quantomeno, seguire la politica e i personaggi che la incarnano.

Se la praticano per professione e per interessi personali o per passione civile.
La società democratica presuppone che i cittadini si comportino come “animali politici” e che non lascino l’attività politica solo nelle mani dei politici di professione.

Per questo tutti i cittadini hanno diritto di voto, nonché diritto di esprimere le loro opinioni, di riunirsi e di formare associazioni.
E’ dovere di tutti conoscere e capire cosa avviene nella sfera pubblica, quali sono i grandi problemi collettivi che ci stanno di fronte , quali meccanismi vengono discussi e affrontati, come funziona la politica.
La nobile storia della nostra cittadina anghiarese  “merita attenzione e interesse nella politica”.

La politica divide. Dove c’è politica c’è conflitto.

La storia ci insegna che la sfera pubblica, ossia l’ambito in cui si affrontano problemi collettivi, è stata sempre divisa in gruppi o partiti contrapposti.

La maggior parte di noi non ama conflitti, preferisce vivere in armonia e in pace con gli altri.

Ma i conflitti sono inevitabili perché le persone hanno punti di vista diversi su ciò che è bene per la collettività.

Non si possono impedire i confitti se non togliendo la libertà ai cittadini.

Una società libera è una società conflittuale.

Non scoraggiarsi dalle divisioni, che a volte sono artificiose, finalizzate a creare dubbi ed incertezze.

Abbracciamo l’idea della “politica come vocazione”.

Guardiamoci intorno, anche nel nostro piccolo, per praticare scelte coraggiose indirizzate a raggiungere il bene comune.

-Redazione-