Matteo Renzi, l’ultimo “comunista”?

pcrDirezione Pd, deluso chi pensava a una forte autocritica di Renzi dimenticando che nel Pci l’autocritica toccava sempre agli sconfitti, mai a chi comandava

Dopo pochi giorni la Direzione del Pd, annunciata come spartiacque politico, non ha lasciato traccia perché si è parlato di fuffa manco fosse più importante la carta che il pesce acquistato.

Deluso è chi pensava a una forte autocritica di Renzi dimenticando che nel Pci l’autocritica toccava sempre agli sconfitti, mai a chi comandava il partito.

Era la prima regola del partito leninista bolscevico poi inasprita dallo stalinismo e rimodulata in seguito dai partiti comunisti europei, in primis quello togliattiano della via italiana al socialismo. Chi fa autocritica ha l’onore delle armi ma firma la propria fine.

Renzi viene attaccato dalla sinistra non perché è il “capo” ma perché ha snaturato con poche mosse  il Partito democratico (amalgama mal riuscita) scolorendone via via l’identità fino a stravolgerla e sciogliendo l’organizzazione dei circoli ex sezioni  dando il mano il partito a rais locali esterni in una commistione non più controllabile fra politica e affari. Non solo.

Renzi è accusato di essere il rifondatore di una “Cosa nuova”, un partito a vocazione maggioritaria, interclassista, dai tratti distintivi della Balena Bianca, senza ideali né etica, riadattata all’oggi.

Il centrosinistra e il centrodestra hanno perduto la loro base sociale (e culturale) di riferimento. Renzi sa che né la sinistra né la destra hanno oggi il consenso elettorale per governare l’Italia.

E sa, in ritardo, che quel 40% del Pd alle Europee non c’è più e che la nuova legge elettorale può diventare un boomerang consegnando l’Italia al M5S.

Matteo non è di destra ma non è di sinistra: è però l’ultimo… “comunista” in quanto intollerante verso chi è diverso da lui, certo di essere il “migliore” della covata, convinto di aver sempre ragione, impaurito di rilevare i panni sporchi nascosti negli armadi, teso a scomunicare i disobbediente e persino i dubbiosi, abilissimo nel gioco delle tre carte fino a scardinare la Costituzione per un solo fine: tutto il potere nelle proprie mani, l’uomo della provvidenza capace di rinnovare il Paese.

La parola d’ordine di Matteo assurta a icona del renzismo, la “rottamazione”, è solo il grimaldello per eliminare politicamente ogni avversario nell’unico credo: “chi non è con me è contro di me”.

La sottovalutazione dell’annuncio: “ Enrico sta’ sereno”  non solo è la dimostrazione di come può essere “bischero” anche un premier e una personalità del livello di Letta ma dimostra come il “birbante” fiorentino sia più “stalinista” di D’Alema, Bersani&C condottieri ex comunisti spompati di una sinistra smarrita, generali (si fa per dire) dalle cento battaglie perdute, senza più eserciti.

Se Renzi fosse più anziano, se fosse il proprietario di un impero imprenditoriale e televisivo e si deliziasse nella sarabande notturne con donnine di facili costumi, se raccontasse barzellette e se fosse amico di .. Putin, sarebbe… Berlusconi?

No. Perché il Cav si era messo a capo delle nuove Crociate per fermare (ancora) il… comunismo mentre Matteo è più avanti nel “lavoro sporco”: sa che il comunismo non c’è più ma sa anche che questa sinistra (italiana) non è riformabile, non cambierà mai, e chi ci crede fa un buco nell’acqua, comunque un partito di minoranza.

Ecco perché Renzi non fa autocritica, non cambia il Pd neppure di una virgola, tira diritto fino alla fine: o cresce e vince il suo partito renziano o la palla passa ad altri.

L’ex Pci Bersani (ingenuamente?) voleva smacchiare il giaguaro-Berlusconi mentre l’ex Dc Renzi sa che rimodernare la sinistra è una perdita di tempo, come “pettinare un porcospino”.

La mezza fortuna (o la sfortuna?) di Renzi (e del Pd) è l’assenza di un centrodestra italiano unito, con un progetto politico e con una leadership credibili.

Ma i “ragazzi” della Leopolda hanno fatto i conti senza l’oste, irridendo Grillo come suggerito da Fassino defenestrato a Torino, e trovandosi davanti la falange arrembante del M5S, già oggi a capo della capitale e pronto al gran balzo per conquistare Palazzo Chigi.

Qui siamo, con tre poli l’un contro l’altro armato.

O meglio, siamo al limite del precipizio: di qua Renzi (che fa Renzi) e il suo Pd, di là Grillo (che fa Grillo) e il suo M5S.

Chi sono i “barbari”?

Senza una svolta, comunque sarà una minoranza di elettori ad eleggere il Parlamento.

E chi può escludere che gli elettori di uno dei tre poli, quello fuori dal ballottaggio, disertino le urne facendo precipitare la già bassa partecipazione?

Renzi, segretario-premier, balla sul trapezio.

Anche gli italiani.

-da un art.di  Massimo Falcioni-Affaritaliani.it-

Pubblicato da Redazione