Un episodio calmoroso all’Ospedale San Donato

imagesProtagonista una signora di 72 anni, residente a Sangiustino umbro, i cui familiari si sono visti costretti a esibire denuncia scritta all’URP della USL8.

Arezzo – Il fatto risale alla sera del 28 gennaio scorso, quando la donna ricoverata presso una struttura privata, dopo aver accusato un malore a seguito di un intervento chirurgico, è stata trasferita con il 118 (intorno alle 21) al Pronto Soccorso del San Donato; decisione presa per prudenza e per sottoporla ad accertamenti.

I familiari della donna recatisi al pronto soccorso sono stati pregati di attendere in sala d’attesa. Ma dopo circa due ore (intorno alle 23) essi non avendo alcuna notizia della congiunta si rivolgevano al personale infiermieristico di turno che rispondeva di non poter dare informazioni, invitandoli cortesemente ad attendere.

I tentativi di avere notizie si sono protratti per le ore seguenti, ma inutilmente. Il personale infiermieristico e di portineria rispondeva: “non possiamo dire nulla” oppure “possono passare svariate ore prima di far sapere qualcosa” o anche “il medico è impegnato, appena si libera vi faremo sapere”.

Intanto, le lancette segnavano le ore 2,30 del giorno dopo: era già il 29 gennaio; finalmente, grazie a continue insistenze e pressioni verbali, i familiari riuscivano a parlare, per la prima volta, con un medico. Questi li rassicurava sullo stato di salute della donna dicendo che, probabilmente, dopo aver fatto ulteriori accertamenti sarebbe stata trasferita nuovamente alla struttura privata; e, chiaramente, estendendo l’invito di aspettare in sala d’attesa.

Dalle 2:30 in avanti è stata però un’estenuante attesa nelle sedie del pronto soccorso, interrotta spesso da inutili tentativi di avere novità sul procedere del ricovero.

Verso le 7 (dopo circa dieci ore di attesa) il figlio della donna riusciva a parlare col medico che gli rispondeva “ma lei è ancora qui?”, e affermando che la donna era stata già riportata con il 118 alla struttura privata intorno alle 4. “Il medico si è giustificato dicendo che  bastava controllassi il computer – riferisce il figlio della donna – come se chiunque potesse avere accesso al terminale della portineria”. “Sono rimasto letteralmente sbigottito – prosegue il figlio -. Ma il fatto ancora più sconcertante è che dalle ore 4 in poi, mia madre sia rimasta, per qualche ora, senza la minima assistenza post-operatoria da parte dei familiari e senza aver modo di avvisarmi”.

Dunque, dieci ore di attesa, vaghe risposte e il trasferimento senza alcuna comunicazione. “Mi chiedo se non avessi insistito per quanto tempo avrei aspettato in quella sala d’attesa? Una cosa simile non deve più capitare: per questo abbiamo reso pubblico il caso. Chiedo che chi di competenza verifichi le circostanze accadute, la verità dei fatti e ci dia delle risposte. Mi riservo comunque, in ogni caso, la facoltà di adire le vie legali”. Monia Mariani