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Nei partiti la pratica della democrazia è scomparsa e la pratica della cooptazione imperversa
Eppure, la storia dei nostri partiti avrebbe potuto avere un corso diverso, sarebbe stato sufficiente dare ascolto a chi si era accorto delle nuvole che si stavano addensando ed aveva intuito il modo di correre ai ripari.
Giorgio Pizzol, da senatore, presentò il 13 novembre 1991 il Disegno di legge n. 3047: “Norme di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione” che così recita:
-“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Eravamo alla vigilia di Tangentopoli: e non è azzardato pensare che tutta la mattanza che ne seguì si sarebbe potuta evitare se la legge Pizzol fosse stata discussa e approvata.
“Desidero che tu sappia – ricorda Pizzol – che la mia esperienza politica è stata sempre improntata dalla mia idea fissa (o forse fissazione, malattia mentale) che senza la pratica effettiva della democrazia interna ai partiti non esiste democrazia”.
Una fissazione che condusse Pizzol a scontrarsi con gli apparati dei partiti nei quali ebbe a militare: sindaco comunista di Vittorio Veneto, senatore socialista e, a metà legislatura nel gruppo socialdemocratico come indipendente.
Alla base di questi scontri, sempre il solito motivo: la scarsa democrazia dentro i partiti e la soffocante invadenza degli apparati.
Nel frattempo, sarà utile rileggere il suo disegno di legge del 1991, anche tenendo conto che la situazione di oggi non è quella di allora.
Nicola Cariglia
Vero, condivido. Un caro saluto a Gino.