Roma – Il Pd e’ stato determinante nel via libera alla Camera al dimezzamento dei fondi al partito. Per dirla con Pier Luigi Bersani, “ha tirato il carro”. Ma il passaggio del testo in Aula non e’ stato indolore e nel gruppo c’e’ chi ha votato si’ per disciplina di partito e chi invece e’ uscito dall’Aula o ha votato contro. Quello che doveva essere il provvedimento bandiera delle forze che sostengono il governo, tanto che il testo originario era firmato dai leader dei tre partiti, e’ passato con un numero ridottissimo di voti: 291, nemmeno i 316 che sono la maggioranza minima. E il Partito democratico e’ stato il nocciolo duro. Dei 205 deputati, 32 erano assenti e uno in missione, ma 172 hanno votato.
Non tutti pero’ hanno detto si’. E’ il caso dei prodiani Antonio la Forgia e Arturo Parisi che ogi ha annunciato gia’ l’intenzione, se il testo diventera’ legge, di raccogliere le firme per un referendum. “E’ una legge che affronta la questione in modo gravemente sbagliato”, ha sottolineato La Forgia.
Ha lasciato invece l’emiciclo Salvatore Vassallo. “E’ una legge indifendibile”, ha detto, “si reintroduce il finanziamento pubblico e senza vincoli di destinazione”. Si sono astenuti Mario Barbi e Simonetta Rubinato. La tensione in Aula, a riferirlo sono stati diversi deputati, e’ stata palpabile per tutto il giorno. “Oggi sono successe cose pesanti”, ha ammesso un deputato di Areadem. C’e’ chi si interroga, per esempio, sulla strenua difesa dei tesorieri fatta da Ugo Sposetti, che un tempo teneva i conti dei Ds. Di fronte a un emendamento del suo compagno di partito Paolo Fontanelli che chiede di rendere pubblica la situazione patrimoniale dei tesorieri, Sposetti si e’ alzato e ha preso la parola.
“Qualcuno mi spieghi quale norma impedisce di rubare. Non c’e’ norma, e’ la storia sono i valori…”, ha sottolineato l’ex tesoriere dei Ds. Poi ha citato gli esempi di Citaristi e Stefanini, “sempre assolti dopo lunghi anni di sofferenza”. Per sventare l’incidente, l’emendamento e’ stato riformulato chiarendo che si estende anche ai tesorieri non parlamentari lo stesso regime di trasparenza di deputati e senatori.
Secondo intoppo, su una proposta di Linda Lanzillotta di vietare alle societa’ a partecipazione statale di finanziare le fondazioni che fanno capo a parlamentari. In linea di principio, molti nel Pd condividevano il veto ma chiedevano di limitarlo alle fondazioni che svolgono attivita’ politica e non filantropica. Ma certo cosi’ si sarebbero tagliate le gambe a molti ‘think tank’. Per questo, e’ la lettura di un deputato della minoranza, si e’ affossata qualunque mediazione per andare al voto sul testo Lanzillotta e avere buone ragioni per bocciarlo.
Non e’ poi stata digerita da qualcuno la decisione di non affidare alla Corte dei conti il controllo dei bilanci dei partiti. In questi giorni, ha raccontato un parlamentare, chi ha seguito da vicino l’iter della legge ha piu’ volte sostenuto che non si sarebbe potuta fare nessuna modifica o si rischiava di far fallire l’intesa con Pdl e Udc. Ma quando stamattina proprio l’Udc ha votato un emendamento di Pier Luigi Mantini che chiedeva di riservare i controlli alla Corte dei conti, molti si sono fatti delle posti dubbi su quanto davvero fosse blindato quell’accordo.
Il segretario ha riconosciuto che vi sono stati dissensi, ma su tutto, ha chiarito, fa premio l’apporto decisivo del partito. “Si potra’ apprezzare, credo, che il Pd c’era tutto con un paio di voti in dissenso per esprimere esigenze che possono essere riprese dalla legge sui partiti. Sappiamo che non c’e’ tutto, ma non si dica – ha rivendicato – che il Pd non ha tirato il carro”. (da Affaritaliani.it)
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