Warning: "continue" targeting switch is equivalent to "break". Did you mean to use "continue 2"? in /membri/ilfendente/news/wp-includes/pomo/plural-forms.php on line 210
partiti | il Fendente

Breve storia dei partiti politici da Babilonia al Movimento 5 Stelle

In origine a determinare le fazioni erano dèi, sacerdoti e re. Poi i nobili, i ricchi.

Infine contarono le masse e così nacquero: destra, centro e sinistra.

Si può fare a meno dei partiti? Forse lo scopriremo presto. Ma un fatto è certo: i partiti sono sempre esistiti.

Già nel 2° millennio a.C., quando la divinità Marduk si affermò su Enlil a Babilonia, era… come se Grillo avesse battuto tutti: allora non si vinceva con elezioni politiche, ma con lotte religiose. (altro…)

Non basta un segretario se non c’è una politica

Il vero problema è che tutti i partiti italiani sono ridotti allo stesso modo e l’ipocrisia regna sovrana

Il vero problema è che tutti i partiti italiani sono ridotti ai minimi termini ed allo stesso modo.

La situazione era matura, per  il terremoto che sta mandando all’aria vecchi equilibri della politica italiana occorreva solo il detonatore, ed  il governo metà tecnico e metà politico unito alle larghe intese che lo sostengono, certamente ha favorito le scosse telluriche di questi giorni.

(altro…)

Ridateci i partiti, quelli veri /Una irrinunciabile verità

b5E’ uno spettacolo penoso,tutto deriva dalla distruzione dei partiti, vissuti come fossero l’incarnazione del male.
In principio fu il Cavaliere, che creò una formazione inedita, arruolando anche alcuni  ex della politica passata (da DC, PSI, PLI, PSDI, persino dal PCI con Sandro Bondi), ma esaltando la “non professionalità” dei nuovi politici. Infatti Berlusconi non ha mai usato il termine partito: Forza, Casa, Popolo.
Poi venne Di Pietro, con un partito personale senza storia. Più tardi lo ha imitato, non importa se senza successo, Antonio Ingroia. Vendola è molto più vendoliano che ex comunista. Monti ha raccattato alcuni reduci, ma all’insegna di un personalismo totale.
Abbiamo, oggi in Italia, una politica senza tradizioni e senza storia; e storia non coincide con burocratismo e conservazione. Berlinguer innovò il PCI, che rimase però PCI. Craxi rivoluzionò la politica socialista, ma il suo rimase il PSI di Nenni e Pertini. Nella DC prima Moro e poi De Mita cambiarono, ma nel solco di De Gasperi. Lo stesso hanno fatto Blair con i laburisti inglesi, la Thatcher e oggi Cameron con i conservatori. In Germania Angela Merkel, che pure proviene dall’Est comunista, è diversa ma anche erede di Adenauer e Kohl.
Pieni di difetti e colpe, i partiti sono però strumenti della democrazia (lo dice anche la nostra Costituzione). Selezionano e allevano nuove leve di dirigenti. Li avviano agli incarichi, e i più capaci possono crescere fino ai vertici. Quello che sa fare da secoli la Chiesa cattolica: promuovere talenti nati poveri, come Woityla e Bergoglio e come molti cardinali.
I partiti, dove esistono e sono bene insediati, interpretano e trasmettono una propria cultura della società e della politica; nessuno può impossessarsene ribaltandone il senso e i fini. Cambiano, ma costruendo su basi consolidate nel tempo.
Oggi, in Italia, questo meccanismo si è rotto: è esploso il web di Grillo e Casaleggio, il regno dell’indistinto e del virtuale: democrazia o dittatura del capo? obbedienza o autonomia di giudizio? destra o sinistra? critica razionale o goliardica leggerezza?
Abbiamo bisogno più che mai di partiti: veri, seri, trasparenti, non ingordi di denari pubblici, in grado di promuovere la competenza e l’onestà.

Diversi da quelli decaduti e screditati degli ultimi tempi. Ma partiti

-(tratto da un articolo di Marco Volpati-da Affaritaliani.it)-

 

Dimezzamento dei finanziamenti ai partiti, ok della Camera

RomaIl Pd e’ stato determinante nel via libera alla Camera al dimezzamento dei fondi al partito. Per dirla con Pier Luigi Bersani, “ha tirato il carro”. Ma il passaggio del testo in Aula non e’ stato indolore e nel gruppo c’e’ chi ha votato si’ per disciplina di partito e chi invece e’ uscito dall’Aula o ha votato contro. Quello che doveva essere il provvedimento bandiera delle forze che sostengono il governo, tanto che il testo originario era firmato dai leader dei tre partiti, e’ passato con un numero ridottissimo di voti: 291, nemmeno i 316 che sono la maggioranza minima. E il Partito democratico e’ stato il nocciolo duro. Dei 205 deputati, 32 erano assenti e uno in missione, ma 172 hanno votato.

Non tutti pero’ hanno detto si’. E’ il caso dei prodiani Antonio la Forgia e Arturo Parisi che ogi ha annunciato gia’ l’intenzione, se il testo diventera’ legge, di raccogliere le firme per un referendum. “E’ una legge che affronta la questione in modo gravemente sbagliato”, ha sottolineato La Forgia.

Ha lasciato invece l’emiciclo Salvatore Vassallo. “E’ una legge indifendibile”, ha detto, “si reintroduce il finanziamento pubblico e senza vincoli di destinazione”. Si sono astenuti Mario Barbi e Simonetta Rubinato. La tensione in Aula, a riferirlo sono stati diversi deputati, e’ stata palpabile per tutto il giorno. “Oggi sono successe cose pesanti”, ha ammesso un deputato di Areadem. C’e’ chi si interroga, per esempio, sulla strenua difesa dei tesorieri fatta da Ugo Sposetti, che un tempo teneva i conti dei Ds. Di fronte a un emendamento del suo compagno di partito Paolo Fontanelli che chiede di rendere pubblica la situazione patrimoniale dei tesorieri, Sposetti si e’ alzato e ha preso la parola.

“Qualcuno mi spieghi quale norma impedisce di rubare. Non c’e’ norma, e’ la storia sono i valori…”, ha sottolineato l’ex tesoriere dei Ds. Poi ha citato gli esempi di Citaristi e Stefanini, “sempre assolti dopo lunghi anni di sofferenza”. Per sventare l’incidente, l’emendamento e’ stato riformulato chiarendo che si estende anche ai tesorieri non parlamentari lo stesso regime di trasparenza di deputati e senatori.

Secondo intoppo, su una proposta di Linda Lanzillotta di vietare alle societa’ a partecipazione statale di finanziare le fondazioni che fanno capo a parlamentari. In linea di principio, molti nel Pd condividevano il veto ma chiedevano di limitarlo alle fondazioni che svolgono attivita’ politica e non filantropica. Ma certo cosi’ si sarebbero tagliate le gambe a molti ‘think tank’. Per questo, e’ la lettura di un deputato della minoranza, si e’ affossata qualunque mediazione per andare al voto sul testo Lanzillotta e avere buone ragioni per bocciarlo.

Non e’ poi stata digerita da qualcuno la decisione di non affidare alla Corte dei conti il controllo dei bilanci dei partiti. In questi giorni, ha raccontato un parlamentare, chi ha seguito da vicino l’iter della legge ha piu’ volte sostenuto che non si sarebbe potuta fare nessuna modifica o si rischiava di far fallire l’intesa con Pdl e Udc. Ma quando stamattina proprio l’Udc ha votato un emendamento di Pier Luigi Mantini che chiedeva di riservare i controlli alla Corte dei conti, molti si sono fatti delle posti dubbi su quanto davvero fosse blindato quell’accordo.

Il segretario ha riconosciuto che vi sono stati dissensi, ma su tutto, ha chiarito, fa premio l’apporto decisivo del partito. “Si potra’ apprezzare, credo, che il Pd c’era tutto con un paio di voti in dissenso per esprimere esigenze che possono essere riprese dalla legge sui partiti. Sappiamo che non c’e’ tutto, ma non si dica – ha rivendicato – che il Pd non ha tirato il carro”. (da Affaritaliani.it)

 

Le gente premia chi schiaffeggia i partiti

La contabilità dei sindaci alla fine dirà che tra i due partiti maggiori: il PD è andato molto meglio del PDL. Tra il 7 e il 21 maggio si votava in un centinaio di comuni, 26 dei quali capoluoghi di provincia. I sindaci uscenti erano per 2/3 di centrodestra e per 1/3 di centrosinistra. Il risultato finale è più che ribaltato: centrodestra e PDL hanno pagato duramente. I sindaci di centrodestra sono rimasti pochissimi.

Il risultato più clamoroso è ovviamente Parma, che elegge sindaco colui che mai si sarebbe pensato vincitore, Federico Pizzarotti del movimento 5 Stelle di Grillo. Ma c’è di più: a Parma l’affluenza al ballottaggio è stata alta, e proprio questo ha favorito l’outsider grillino. Vuol dire che migliaia di parmensi non hanno rinunciato all’opportunità di usare il loro voto per dare una mazzata a tutto il sistema dei partiti.
Palermo e Genova sono storie diverse, ma con un senso simile, anche tenendo conto che l’affluenza è stata bassissima, molto sotto il 50 per cento. A Palermo ha vinto chi ha sfidato non soltanto i partiti del centrosinistra, ma anche le regole che erano state fissate. Leoluca Orlando si è candidato individualmente, a dispetto dell’esito delle primarie, che avevano consacrato candidato ufficiale Ferrandelli, proveniente proprio dal suo stesso ambiente, l’IDV. Più rivolta contro i riti di partito non si potrebbe immaginare.
A Genova Marco Doria ha vinto facilmente. E’ figlio d’arte, discendente di una grande famiglia ed erede di uno storico esponente del Partito Comunista. Però è saltato fuori a sorpresa dalle primarie (come già aveva fatto Pisapia a Milano, e prima ancora Vendola in Puglia). Il PD aveva messo in campo due candidate donne: Marta Vincenzi, sindaco uscente, e Roberta Pinotti, parlamentare. Gli elettori le hanno bocciate subito, e poi hanno consacrato l’outsider Doria.
Morale di questa storia: o i partiti cambiano rotta di 180°, a partire dai finanziamenti e dalla legge elettorale, o d’ora in poi lo slogan vincente, a destra come a sinistra, sarà “Io sono fuori e contro il vecchio sistema politico”. (da Affaritaliani.it)